La rabbia
Ce n’è tanta qui in carcere, la si ode a volte nelle urla scomposte che giungono da corridoi lontani o nelle sbarre batture, la si vede nel rosso del sangue che sgorga da ferite che un detenuto si autoinfligge o rimane chiusa ermeticamente in silenzi interminabili, in sguardi duri, in pallori dovuti al rifiuto del cibo…
È spesso una rabbia cattiva, che ti fa abbassare la testa e segna una tua sconfitta, ti fa tremare, piangere e basta.
Ma, stranamente forse, esiste anche una rabbia buona, attiva, costruttiva, che fa i conti con il dolore, quello proprio anzitutto, ma poi quello dei familiari, fino a quello delle vittime.
Sono emerse ambedue negli scritti delle persone che hanno accettato di mettersi in gioco riflettendo a voce alta o scrivendo la propria storia.